ANNO 14 n° 120
Un viterbese a New York, Colazione da Tiffany
>>>>> di Andrea Bentivegna <<<<
11/07/2014 - 00:00

di Andrea Bentivegna

NEW YORK - New York, settimana uno. Ad essere precisi, come dicono qui, Brooklyn non è New York. Brooklyn, dove vivo, non è la 'city'. La city è quella dall'altra parte del ponte, è l'isola. Ebbene Brooklyn è un posto molto figo e decisamente hipster dove se non vai in giro in bicicletta e non hai baffi e occhiali da vista non sei nessuno, o peggio sei uno dei tanti sudamericani con cui gli hipster dividono il quartiere. Credo di appartenere decisamente alla seconda categoria. Que bueno!

Ma fortunatamente, con quindici minuti e quattro fermate di metro, ogni mattina riemergo proprio di fronte alla vetrina di Tiffany, dall'altro lato della mitica 5th avenue. Ci divide un fiume giallo di taxi, mi devo perciò accontentare di Abercrombie e del suo profumo che impregna ormai anche i marciapiedi. Se a Brooklyn sono uno straniero, a Manhattan sono uno dei tanti stranieri. L'isola è un territorio franco dove tutti siamo uguali: stranieri e cittadini allo stesso modo. Come se la griglia di strade che governa questa parte di città rendesse tutti omogenei, non solo gli isolati ma anche gli isolani.

Qui tutto sembra essere a portata di mano. E' singolare, perché quest'isola e' tutt'altro che piccola eppure ogni negozio è vicino, non sapevo bene come spiegarmelo i primi giorni, ma poi, banalmente, ho capito: la maggiorparte dei negozi, dei bar, dei venditori di hot dog si ripetono ad ogni angolo in modo infinitesimale ed è così, ad esempio, che nei due isolati che percorro ogni mattina ci sono ben quattro Starbucks, tre McDonald, e ben undici (li ho contati) venditori di hot dog. Naturalmente la prima e più diretta conseguenza di questo è che avrò bisogno di sottopormi a delle cure al mio ritorno in Italia. Eppure una di queste mattine dovrò trovare dentro di me il coraggio di guadare quel fiume giallo, non quello cinese, ma quello di Manhattan, per andare a provare, almeno una volta, la leggendaria colazione di quel diavolo di bar davanti al quale arrivo ogni mattina e che ha persino ispirato quel film con Audrey Hepburn.

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